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Calcolo del tasso di conversione sulla base della customer journey

Una delle metriche che più si dovrebbe considerare per valutare un’investimento online oppure le performance di un sito web o una landing page è il tasso di conversione.
Il tasso di conversione (o conversion rate) è infatti una KPI (key performance indicator, indicatore chiave di performance) che ti dice in che misura stai ottenendo il risultato desiderato.

Come viene calcolato il tasso di conversione?

Nel mondo del digital marketing, questo rappresenta la percentuale di visitatori unici (o di visite) che hanno compiuto una specifica azione, ad esempio un acquisto in uno shop online oppure l’invio di una richiesta di contatto passando per la compilazione di una form.

Breve excursus teorico: nella web analytics, una visita (o sessione) è la navigazione di un sito web (o di una applicazione) da parte di una persona. Il visitatore unico (o utente) corrisponde invece in genere al browser del dispositivo della persona che sta visitando il sito (o, più precisamente, al cookie rilasciato nel browser stesso).

Per cui la formula per calcolare questa metrica è:

Tasso di conversione = Numero completamento obiettivi / Utenti (oppure Sessioni)

All’apparenza è una KPI semplice, no?
Sì, se non fosse per un dettaglio. Nel calcolo si devono considerare le visite o i visitatori unici?

Calcolo del tasso di conversione: considerare gli utenti o le sessioni?

Come approcciare questo dilemma?

Non c’è una risposta esatta a questa domanda. Tutto dipende dallo scenario in cui ci troviamo, dal tipo di conversione e dalla customer journey del caso specifico (ovvero il percorso compiuto da una persona prima di raggiungere l’obiettivo).

Se si considera di calcolare il conversion rate sulla base delle sessioni, si presuppone che ogni visita al sito sia fatta da qualcuno pronto per convertire (ovvero pronto a compiere l’azione desiderata).
Considerando a denominatore gli utenti, si ritiene invece plausibile che qualcuno visiti il sito più volte prima di raggiungere l’obiettivo.
Come puoi immaginare, in diversi contesti quest’ultima è la casistica più comune. Vedi ad esempio gli e-commerce, in cui solo una piccolissima percentuale di persone (tra l’1% e l’1,5% in Italia secondo vari studi di settore svolti da agenzie come Casaleggio Associati o Netcomm PoliMi) arriva e acquista al primo colpo; la maggior parte dei visitatori ha invece bisogno di più tempo per pensarci e valutare alternative.

In molti casi potrebbe essere per te più interessante calcolare questa KPI sul numero di utenti che hanno concluso una determinata azione e non sul numero di volte in cui ne hanno avuto l’opportunità.

Quando guardare al tasso di conversione basato sugli utenti e quando sulle visite?

Come scrivevo sopra, a mio avviso è però difficile definire una regola precisa, perché i fattori da considerare sono diversi.
Vediamone alcuni:

  • il tipo di conversione (acquisto, contatto, download, iscrizione alla newsletter, ecc.)
  • la customer journey, che a sua volta è influenzata da
    • quanto è critico il prodotto o il servizio nella vita della persona
    • quanto costa
    • quanto è prolungato il tempo di maturazione della decisione
  • la frequenza di conversione per utente (ovvero ogni quanto tempo una persona può compiere la stessa conversione)
  • i contenuti offerti (ad esempio la presenza di una sezione editoriale, come un blog o un magazine)

Un approfondimento in più su questo ultimo punto.
Se in un ecommerce esiste una sezione di contenuti editoriali che viene via via potenziata nel tempo con l’obiettivo di intercettare le persone anche in una fase più lontana della customer journey (ad esempio per far conoscere l’azienda), è normale che il tasso di conversione all’acquisto diminuirà. In questo caso, calcolare il conversion rate sugli utenti dovrebbe almeno “ridurre il rumore” fatto da chi accede frequentemente alla sezione editoriale, senza convertire.

Alla luce di questi fattori, mi verrebbe da suggerirti di considerare il tasso di conversione basato sugli utenti per:

  • la transazione e-commerce con bassa frequenza di acquisto per visitatore (es. maggiore di un mese)
  • la prenotazione su siti di viaggi
  • il contatto o la richiesta di preventivo in siti b2b il cui prodotto o servizio richiede da parte della persona un periodo molto lungo di ricerca/decisione (ad esempio un’azienda che vende gestionali oppure un concessionario d’auto)

Mentre il tasso di conversione basato su sessioni si potrebbe considerare per:

  • la transazione e-commerce con alta frequenza di acquisto per utente (es. più di due volte al mese come potrebbe essere in un ecommerce food)
  • il contatto o la richiesta di preventivo di aziende che offrono prodotti o servizi di prima necessità o che richiedono minor tempo decisionale (es. registrazione alla demo di uno strumento)
  • la registrazione, l’iscrizione alla newsletter o l’abbonamento ad un sito web
  • in generale, azioni più soft quali il download o la compilazione di una form su una landing page

Ma di quanto può variare il tasso di conversione?

Arrivati a questo punto, forse come me ti starai chiedendo: ma quanto può variare il tasso di conversione basato sulle sessioni da quello basato sugli utenti? Alla fine dei conti, quanto può incidere la scelta?

Per rispondere a questa domanda mi sono “divertito” ad analizzare i dati di alcuni progetti che seguo e a calcolarne il tasso di conversione nei due casi. I progetti selezionati sono molto diversi tra loro per tipo di conversione.

Ecco i numeri:

  • acquisto su e-commerce fashion
    • tasso conversione su utenti: 2,00%
    • tasso conversione su sessioni: 0,97%
    • differenza (%) = +106,2%
  • prenotazione vacanza su sito agenzia viaggi (quindi con una bassa frequenza di conversione dello stesso utente)
    • tasso conversione su utenti: 1,41%
    • tasso conversione su sessioni: 0,81%
    • differenza (%) = +74,1%
  • richiesta preventivo su sito articoli gadget personalizzati
    • tasso conversione su utenti: 6,33%
    • tasso conversione su sessioni: 4,02%
    • differenza (%) = +57,5%
  • richiesta registrazione ad un corso
    • tasso conversione su utenti: 2,33%
    • tasso conversione su sessioni: 2,12%
    • differenza (%) = +9,4%

Come puoi vedere, la differenza è maggiore nei casi in cui l’azione di conversione sia meno impulsiva (ovvero richieda più tempo e sessioni per compiersi).

Nel caso dell’ecommerce fashion, addirittura il tasso di conversione sarebbe più del doppio nel caso lo calcolassimo sugli utenti e non sulle sessioni. Per un sito invece di lead generation, che offre diverse pagine di atterraggio con form di registrazione, invece la differenza è molto più ridotta.

Tasso di conversione ecommerce: se basato sugli utenti in genere è più alto

Che dato ci danno gli strumenti che guardiamo?

Considera che i più diffusi strumenti di web analytics come Google Analytics e Omniture utilizzano, per impostazione di default, la visita nel calcolo del tasso di conversione.
Mentre strumenti di A/B testing molto diffusi come Optimizely e Visual Website Optimizer sono basati sugli utenti.

Ti consiglio quindi di fare sempre attenzione su come viene calcolata questa KPI, anche per poter fare confronti attendibili.

Come si sta muovendo Google in particolare?

Lo strumento di Google, proprio qualche mese fa (Dicembre 2017), ha fatto un primo passo importante nella direzione di porre un maggior focus sul visitatore.
Infatti, è adesso possibile analizzare le statistiche di molti rapporti utilizzando come metrica di base gli utenti e non più le sessioni.
Inoltre, ha introdotto nuovi rapporti sempre legati all’utente con l’obiettivo di fornire a chi si occupa di marketing degli strumenti in più per analizzare la customer journey delle persone (vedi l’articolo con le novità presentate da Google).

Il calcolo del tasso di conversione, tuttavia, continua ad essere basato sulle sessioni. Ciononostante è possibile facilmente crearsi per i propri report una nuova metrica calcolata, che consideri a denominatore gli utenti anziché le visite.

E quindi cosa dobbiamo fare?

Giunti fin qua, come credo stai realizzando, il tema non è affatto banale. Spero converrai con me che però l’argomento è affiscinante. :)

Forse ti starai anche chiedendo qual è il fine ultimo di questa scelta o almeno perché bisognerebbe riflettere tra l’uno e l’altro approccio. Bè, sicuramente c’è un tema di consapevolezza, che mira ad ottenere un indicatore più accurato e attendibile da analizzare. Ma soprattutto, essendo il tasso di conversione una delle principali metriche utilizzate per valutare se le cose (un canale, una landing page, un sito) stanno funzionando oppure no, da questo derivano poi tante decisioni!

Se ad esempio finora hai considerato il conversion rate di Google Analytics, ma adesso ti stai rendendo conto che nel tuo caso sarebbe più opportuno rivalutare questa KPI sulla base degli utenti, bene, il mio consiglio è di analizzare come la percentuale cambierebbe e di prendere poi una decisione.

Attenzione però: la decisione finale su quale approccio adottare deve essere condivisa con tutti quelli che collaborano al progetto, analizzano i dati e prendono decisioni su questi. Insomma, è necessario condividere la scelta a livello aziendale e assicurarsi che tutti i report, le analisi e le azioni successive (fatte internamente o anche da eventuali fornitori) seguano la nuova direttiva.

Nel tuo caso quindi, quale modello si presta meglio?

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