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Modelli di attribuzione: perché non evitarli

Avinash Kaushik, uno dei massimi esperti di web analytics, inizia un articolo del suo blog così: “nel mondo dell’analisi dei dati, ci sono poco cose più complicate dei modelli di attribuzione multi-canale“.

La frase originale dell’articolo (uno tra i più letti letti nel suo famoso blog) la trovi a questo link:

“There are few things more complicated in analytics (all analytics, big data and huge data!) than multi-channel attribution modeling.”

Questo formidabile testo, in cui dà una sua visione sull’argomento, è del 2013! Google Analytics, una tra le più diffuse piattaforme di web analytics, aveva integrato i rapporti dedicati all’analisi dei percorsi di conversione e dei modelli di attribuzione un paio di anni prima, nel 2011.

Ciò che mi ha fatto riflettere e dato lo spunto per questo mio articolo è il fatto che sembrerebbe, leggendo i dati di una recente ricerca di AdRoll, che questo tipo di analisi non venga ancora molto sfruttata da chi si occupa di web marketing.

Cosa sono i modelli di attribuzione? A cosa sono utili?

Faccio un passo indietro e, nel caso tu non li conosca ancora, provo a spiegarti cosa sono questi modelli di attribuzione e a cosa servono.
Per farlo, prendo in prestito un simpatico esempio che ho visto in una presentazione di Mariia Bocheva al primo MeasureCamp italiano, tenuto a Milano lo scorso ottobre (non sai cos’è il MeasureCamp? Questo il link dell’evento).

Ipotizziamo che un ragazzo e una ragazza si conoscano tramite l’app Tinder. Dopodiché, fissano il primo appuntamento. Dopo un po’ di frequentazione fanno il primo viaggio assieme. Arriva la proposta di fidanzamento. E, infine, si sposano.

Tutto il processo lo chiamiamo “customer journey“, mentre il matrimonio è la “conversione“.

customer journey matrimonio copia

La domanda che adesso ci poniamo è: di chi è il merito se i due si sono sposati?
È un quesito a cui è estremamente difficile rispondere, anche perché spesso l’attribuzione del merito è legata a un giudizio qualitativo e potremmo avere risposte differenti.

Ad esempio, se lo chiedessimo al ragazzo, probabilmente risponderebbe che è grazie a come ha fatto colpo al primo appuntamento. Se invece la stessa domanda la facessimo al fondatore di Tinder, beh, sicuramente ci direbbe che il merito è della sua app. 🙂

Proviamo adesso con un altro esempio calato nel mondo del marketing online.

Una ragazza è stata attratta da un banner pubblicitario su Facebook di un marchio di orologi che non aveva mai conosciuto prima. Fa clic sul banner, entra sul sito e lo esplora. Siccome non conosceva il brand di allora, anche se l’orologio le piace, non si fida ad acquistarlo subito.
A distanza di qualche giorno, cerca il brand su Google e fa clic sul risultato organico per entrare nel sito e guardarsi di nuovo il modello. Non è ancora convita però, infatti i costi di spedizione la frenano dall’acquisto. Dopo qualche giorno si imbatte in un banner di remarketing di Google che presenta la promozione “spedizione gratuita”: senza pensarci due volte, fa clic, entra sul sito e acquista.

Ricapitolando, i “punti di contatto” (o “touch point”) di questo percorso di conversione (“customer journey”) sono, nell’ordine: Facebook Ads, Google organico, Google remarketing.

Lo scopo dei modelli di attribuzione e dell’analisi dei percorsi di conversione è quindi quello di “assegnare un merito o un credito” a ciascun fattore che ha partecipato al processo decisionale della persona fino a portarlo al compimento dell’obiettivo.

Quali sono i principali modelli di attribuzione?

Il modello di attribuzione standard nella maggior parte degli strumenti di web analytics e delle piattaforme di advertising è quello detto “ultima interazione” (o “last click”), che attribuisce tutto il merito all’ultimo canale, quello da cui è arrivata la conversione. Nell’esempio precedente, il remarketing di Google.

Dal momento che ci sono canali più propensi alla conversione di altri, statisticamente il modello “last click” privilegierà questi, non dandoci modo di capire il peso che hanno avuto gli altri. È un po’ come se valutassimo la prestazione dei giocatori di una partita di pallavolo solo guardando chi ha fatto più punti, non considerando le buone ricezioni e le alzate verso gli schiacciatori.

Il rischio quindi nel considerare solo questo modello è di decidere di spegnere gli investimenti su altri canali che sembrano non portare risultati tangibili (ovvero conversioni).

Tornando all’esempio, se l’azienda volesse conoscere qual è il contributo anche delle altre attività di marketing che ha messo in azione (ad esempio le campagne di brand awareness su Facebook), dovrebbe studiare i percorsi di conversione.

Inoltre, per capire se e quanto continuare a investire nei vari canali, dovrebbe definire il modello di attribuzione più idoneo al suo business per assegnare i meriti a tutti i punti di contatto.

Oltre a quello di “ultima interazione”, altri modelli di attribuzione sono:

  • prima interazione”: tutto il merito viene attribuito al primo canale che ha portato la persona sul sito web. L’approccio è questo: “se questo primo canale non avesse intercettato la persona stessa, questa probabilmente non avrebbe saputo che il brand esiste e non avrebbe mai convertito”
  • lineare”: il merito viene distribuito equamente tra tutti i punti di contatto che hanno contribuito alla conversione. L’approccio è questo: “siccome non sappiamo come assegnare il merito tra i vari canali, in modo democratico attribuiamo ad ognuno lo stesso peso”
  • decadimento temporale”: la maggior parte del credito viene assegnata al canale più vicino nel tempo alla conversione e il resto, a scalare, agli altri
  • in base alla posizione”: il 40% del credito viene assegnato alla prima e all’ultima interazione, mentre il restante 20% del credito viene distribuito uniformemente tra le interazioni centrali

Poi ci sono le varianti di questi (ad esempio “ultimo clic, non diretto”, usato nei rapporti standard di Google Analytics) e, in alcune piattaforme, c’è anche la possibilità di creare un modello personalizzato. Nel caso ti interessi approfondire il tema ti lascio un link alla guida di Google Analytics.

I dati della ricerca di AdRoll (fine 2017)

Come scrivevo all’inizio, mi hanno stupito i dati della ricerca condotta da AdRoll ed Econsultancy pubblicati a Ottobre 2017. Si tratta di un questionario fatto a oltre mille consulenti e agenzie di web marketing, soprattutto dell’Europa e del Nord America, in cui emerge che il 44% dei marketers e il 59% delle agenzie intervistati analizza i dati online usando principalmente il modello di attribuzione “last click” (ovvero quello impostato di “default” in molte piattaforme di web analytics).

Inoltre, il 39% dei “marketers” e il 33% delle agenzie utilizza il modello “first click”.

Perché i modelli di attribuzione sono “ostici” da usare?

La spiegazione principale sul fatto che il modello “last click” sia quello più utilizzato è che questo è “più facile”, o, in altre parole, perché mancano competenze analitiche e una conoscenza dello strumento per applicare altri modelli (l’ostacolo principale per il 59% di chi sostiene di non usare i modelli di attribuzione).

Le altre motivazioni che mi sono dato, guardando anche alla mia esperienza sul campo, riguardano la necessità di avere:

  • una buona conoscenza del business
  • un minimo di consapevolezza delle abitudini delle persone/clienti che navigano il sito web (es. tempistiche e frequenza di conversione, dispositivi utilizzati, ecc.)
  • una visione completa delle attività di marketing svolte (online e offline)
  • dati consistenti, attendibili e di qualità, a disposizione in un’unica piattaforma

Come puoi immaginare non è quindi semplice scegliere un modello di attribuzione da usare e spesso la scelta è seguita da diversi tentativi e guidata da confronti tra i più responsabili di marketing che lavorano al progetto.

Come capire quando dovresti usare i modelli di attribuzione

Prima di impazzire nello scegliere il modello di attribuzione che fa al caso tuo, cerca di capire se ha senso usarne uno che non sia quello di default.

Per farlo, un semplice metodo è analizzare queste due metriche: la “lunghezza del percorso di conversione” e il “tempo alla conversione”.

Ti serve un modello di attribuzione? Analizza lunghezza del percorso e tempo di conversione

La prima misura il numero di volte in cui la persona è entrata in contatto con il sito prima di convertire. La seconda misura il numero di giorni trascorsi dal primo contatto alla conversione.
Nel caso in cui la maggior parte delle conversioni (diciamo oltre l’80% del totale) richiedano una o due sessioni e magari si completino nello stesso giorno, allora, molto probabilmente, potrebbe non esistere un “problema di attribuzione” oppure questo potrebbe essere trascurabile. In questa circostanza, il modello “last click” generalmente impostato di default può andar bene.

Viceversa, se la maggior parte delle conversioni necessitano mediamente di più di due sessioni e si concretizzano in più giorni dalla prima visita, allora è necessario analizzare bene i percorsi di conversione.

Il modello “data-driven” e Google Attribution

Uno dei limiti dei modelli di attribuzione descritti sopra riguarda il fatto che spesso non tengono conto dell’efficacia di ciascun punto di contatto. Ad esempio, possono esserci sessioni in cui, anche senza convertire, l’utente si avvicina molto alla conversione (ad esempio si registra al sito o alla newsletter) e altre in cui magari abbandona subito.

Inoltre, a tutto questo va aggiunto il fatto che i principali strumenti di web analytics (come Google Analytics) si basano sui cookie e quindi riescono a tracciare il percorso della persona se fatto dallo stesso dispositivo e in determinate condizioni (stesso browser, non in modalità incognita e senza cancellazione dei cookie).

Oggi, il crescere dei vari canali di marketing con cui si possono raggiungere le persone e del numero dei dispositivi diversi che queste usano, comportano un’aumento della probabilità che questi strumenti perdano traccia di tutte le interazioni che chi naviga compie prima di convertire.

La risposta di Google a questa esigenza è la creazione di un nuovo servizio, ancora in beta, che si chiama proprio Google Attribution.

Questo strumento utilizza un suo modello di attribuzione data-driven (di cui però sembra non essere possibile sapere i criteri di assegnazione dei crediti) che sfrutta il machine learning.

Google Attribution sfrutta un modello di attribuzione data-driven e il machine learning

Quando sarà rilasciato completamente e permetterà la raccolta e l’analisi di dati provenienti da più piattaforme (al momento solo Google Analytics e Google Ads, ma in futuro dovrebbe connettersi anche con quelle di terze parti) dovrebbe aiutare chi si occupa di marketing a capire meglio cosa funziona e cosa no nel mix di attività svolte. L’augurio è che sia imparziale e veramente guidato dai dati. :)

E tu, che esperienza hai con i modelli di attribuzione?

Se ti va, raccontamela nei commenti qua sotto.

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