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Oltre Ads: convertire con metodo e progettazione

Agire con metodo per adattarsi

Come al solito cerco di far nascere i miei post da situazioni concrete in cui mi imbatto parlando con le aziende. Attenzione: questo non è un post per tutti. Per molti di voi, la maggior parte magari, questi concetti sono ormai assodati.

Ma se vi ritrovate nei casi descritti qui sotto, allora dovreste continuare a leggere:

  • i vostri investimenti finora si sono concentrati in Google Ads (e SEO, magari);
  • il vostro account ha cominciato da qualche tempo a far registrare performance scadenti;
  • avete la sensazione che la vostra arena competitiva sia sempre più complessa e agguerrita;
  • sono entrati nuovi attori nel vostro mercato, o i vostri competitor storici stanno cominciando ad attrezzarsi e ad investire online;
  • registrate dei costi per click in aumento anno dopo anno: a parità di investimento, raccogliete meno visite;
  • (e di conseguenza) i costi per conversione o per lead cominciano a diventare troppo onerosi da sostenere.

Beh, prima di tutto sappiate che è normale. Il mercato (digitale) cresce, matura, e dobbiamo adattarci di conseguenza. Ma non ne uscirete cambiando web agency, o cercando uno specialista Ads più bravo (sulla carta) di quello che avevate prima. Dobbiamo alzare la testa e darci un metodo.

Cosa vuol dire: prima di tutto smettere di considerare Google Ads come unico e universale stratagemma che internet mette a disposizione per fare business (qui il nostro punto di vista per capire come utilizzare Google AdWords se lavori per un’azienda b2b). Internet, purtroppo, si porta dietro un retaggio scomodo, che lo descrive come efficace (e poco costoso, altra falsa verità) nel rispondere ad un interesse manifesto. Probabilmente il predominio di Google nel mondo digitale e i suoi riflessi sulla vita quotidiana delle persone amplificano questa associazione.

Ma sfruttare internet per trovare clienti significa altro. Tutti noi usiamo almeno una volta al giorno un motore di ricerca (e in Italia sarà facilmente Google) e ne conosciamo le potenzialità. Ma la nostra esperienza online non si ferma lì. Anzi, da lì si apre un mondo.

Presidiare tutta customer journey: non solo Google, Ads. I Micromomenti coinvolgono altro

Che Google Ads sia la (sola) risposta che molte web agency danno al concetto di promozione online non può essere una scusa. Dovete voi imprenditori avere una consapevolezza diversa. Se avete speso soldi online solo in Google Ads, ad eccezione di rari casi virtuosi, nella migliore delle ipotesi state perdendo un sacco di opportunità, nella peggiore sarete costretti a breve chiudere i rubinetti e fermare tutto.

Crescita CPC Google AdWords
Fonte: http://searchengineland.com/adwords-brand-cpcs-rising-heres-can-225648

Negli ultimi 2 anni i costi-per-click minimi di Google Ads per avere uno slot in prima pagina hanno registrato un aumento di 2-5 volte. Pensare di continuare ad essere in questo mercato con lo stesso budget (e risultati) di prima vuol dire, prima o poi, dovervi rinunciare.

Se ho bisogno di qualcosa uso Google. Siamo sicuri?

Negli ultimi tempi circola molto tra chi si occupa di marketing il concetto di “micro momento”: una finestra temporale circoscritta in cui ciascuno di noi ha una particolare necessità che cerca di soddisfare online.

Ad esempio, si rompe il frullatore, o c’è una macchia d’olio nel cotto della taverna che non sappiamo come levare. Cosa facciamo: nel primo caso andremo magari su Amazon o su un comparatore di prezzo a confrontare i costi di aggeggi simili, per procedere all’acquisto; nel secondo caso cercheremo un video su YouTube che ci dia qualche consiglio su come fare, e che prodotto usare.

Google (Ads) non l’abbiamo nemmeno sfiorato

Questi “momenti” sono l’esplosione di un concetto più esteso chiamato customer journey, che spesso viene snobbato da chi investe online.

La customer journey è quel percorso di avvicinamento che le persone fanno per arrivare a scegliere un’azienda, un prodotto o un servizio. Questo percorso è fatto di fasi a cui corrispondono necessità specifiche, e modalità differenti di interazione con il brand stesso.

I motori di ricerca ci danno una mano a far prendere alle persone la decisione finale, perché sono il luogo ideale (online) dove si incrociano domanda e offerta. Ma il desiderio, l’interesse (per un servizio, un bene) non nasce in Google.

Concentrare tutti i propri sforzi in Ads vuol dire trascurare tutto ciò che ha portato una persona ad arrivare là.

Le fasi della Customer Journey
Customer Journey: un esempio classico di fasi e necessità

Un piano di comunicazione/marketing intelligente deve essere in grado di presidiare tutte le fasi che portano una persona a trasformarsi in cliente, e a farlo rimanere tale nel corso del tempo. Investendo anche quando non si è ancora manifestato chiaramente un interesse per quello che proponiamo al mercato.

La pubblicità “tradizionale” (brutto termine, ma aiuta a capire) interviene proprio in questo modo. Paghiamo per essere presenti su carta stampata, radio e tv senza avere la certezza di colpire persone che hanno bisogno di noi: vogliamo segnalare la nostra presenza sul mercato, e stimolare un interesse.

Anche Internet può (e deve) essere sfruttato in questo modo. Concentrarsi solo sui momenti più vicini alla decisione può sembrare comodo, perché dà la sensazione di avere più “garanzie” di portarci a casa un cliente. Non è vero. Vuol dire confrontarsi in una piazza dove tutti vogliono stare (per gli stessi motivi), con costi alti (e in aumento) e il rischio di trovarci a sgomitare con competitor più conosciuti di noi, che avranno più chance di spuntarla.

Cpc Ads in costante crescita, esploriamo strumenti alternativi, diversi per ogni touchpoint

Perché Google non basta?

Se pretendo che una persona – che magari non mi ha mai sentito nominare – scelga me solo perché sono tra i tanti che stanno pagando per avere uno spazio in vetrina su Google, devo essere sicuro di avere l’offerta o il prodotto migliore di tutti. Chi comprerebbe da uno sconosciuto? Può succedere, ma è un atteggiamento passivo, estremamente rischioso, che porta spesso a una perdita secca.

Ci sono un sacco di altri “momenti” e luoghi online dove un vostro potenziale cliente poteva aver bisogno di voi, e non c’eravate.

Mettiamoci nell’ordine di idee di non aspettare i clienti alla porta, e non pretendere di vendere loro subito qualcosa. Cerchiamo di capire come potremmo aiutarli o interessarli con un contenuto di valore. Facciamogli vedere perché siamo migliori degli altri, e perché dovrebbero fidarsi di noi, per renderli più propensi a sceglierci in seguito. E questo nel luogo e nel momento giusto.

Metodo, dicevamo.

Da dove partiamo? Descriviamo bene il profilo/i dei nostri clienti ideali e cerchiamo di mappare il percorso che potrebbe condurli a noi. A ciascun touchpoint assoceremo il contenuto e lo strumento di visibilità più adatto. E questo va fatto prima di spendere anche solo un centesimo in più in sanguinose campagne Ads che vi stanno prosciugando.

Cosa serve per fare questo? La vostra conoscenza del settore e del vostro pubblico, e un consulente di marketing che abbia una visione a 360 gradi sugli strumenti che il digital mette a disposizione.

Vediamo qualche esempio.

Fase 1: il primo contatto con il brand.

Vogliamo farci conoscere, ribadire la nostra presenza sul mercato e instillare nella mente delle persone un’associazione tra noi e un certo tipo di prodotto o servizio. Non possiamo chiedere un’azione impegnativa all’utente: probabilmente nemmeno sa chi siamo. Perché allora non “limitarci” a far visualizzare un video che parla di noi e di quello che facciamo? Magari ospitato anche in una landing page a cui veicoleremo traffico (a basso costo) grazie a una campagna display e dove, in cambio di un indirizzo mail, faremo scaricare un catalogo dei nostri prodotti o servizi.

Fase 2: scatta l’interesse, inizio ad informarmi.

Finalmente una persona si è resa conto che potrebbe aver bisogno di quello che offriamo. E’ ancora lontana dal prendere una decisione: in questo momento vuole solo “saperne di più” e iniziare a valutare cosa c’è sul mercato. Vi ricordate che abbiamo un indirizzo mail? Bene, perché non iniziare a dialogare con queste persone inviando una newsletter che dia informazioni più specifiche su cosa offriamo, corredata magari da una tabella comparativa dei vantaggi che diamo noi rispetto alla concorrenza? Se possiamo, giochiamoci una piccola leva commerciale: indichiamo nella mail un coupon di sconto da usare per il primo acquisto, o da portare in punto vendita.

Fase 3: ok, ho bisogno di quella cosa. Da chi vado?

Questa è la fase dove i motori di ricerca si esprimono al meglio, ma vanno usati con senso tattico. Campagne di brand, innanzitutto: da qualche tempo avete iniziato a parlare con dei potenziali clienti, che però non ricordano a memoria il vostro sito e vi cercano in Google. Presidiare queste ricerche è fondamentale per evitare di disperdere preziosissime visite, tutelarvi dalla concorrenza, e “giocare” con il testo dell’annuncio ribadendo un’offerta, o una leva commerciale esclusiva (free shipping, sopralluogo gratuito etc). E poi del sacrosanto remarketing a chiudere il cerchio.

Attenzione, queste persone hanno forse bisogno di un ultimo aiutino per essere convinte: tranquillizziamole facendo leggere l’opinione di una persona che ha già acquistato o usufruito dei nostri servizi, mettendo a disposizione un numero di telefono o una live chat per risolvere gli ultimi dubbi.

 Fase 4: ..e vissero felici e contenti: post vendita e fidelizzazione.

Il post vendita è una delle fasi più profittevoli per l’azienda perché si possono piazzare beni e servizi aggiuntivi ad alta marginalità, con sforzi realisticamente inferiori in quanto ci rivolgiamo a persone (a) di cui conosciamo meglio l’identità e (b) che sono ben predisposte (se tutto è filato liscio) nei nostri confronti.

Avete gli indirizzi mail di tutti i vostri clienti? L’email marketing è uno dei canali dal costo-beneficio più alto in rete, che va messo a sistema sia per generare up e cross-selling, che per fidelizzare i clienti con eventi, gadget o benefit di vario tipo. Somministriamo poi gli stessi indirizzi mail a Facebook per ribadire alle stesse persone i contenuti della mail, creando magari segmenti di utenti “simili” da coinvolgere nelle attività di promozione.

Di seguito, una tabella che approfondisce questo schema con altri esempi di contenuti e canali.

Esempi di canali e contenuti per ciascuna fase della customer journey

 

L’ultimo clic non è (per forza) quello vincente: come misurare

Iniziare ad usare strumenti con obiettivi diversi dalla conversione immediata, significa adottare metriche di misurazione diverse da quelle con cui valutiamo campagne Ads (il costo a conversione, ad esempio). Dovrete abituarvi a questo approccio mentale e avere pazienza se una campagna display non porta direttamente conversioni: non è il suo compito.

A questo servono i modelli di attribuzione, ovvero l’insieme di regole che determina il modo in cui il credito per vendite e conversioni viene assegnato ai punti di contatto nella customer journey. Se venite da Ads, sarete abituati ad assegnare il 100% del credito ai punti di contatto finali (ossia i clic) che precedono immediatamente le vendite o le conversioni. Ma questo approccio non premia canali che hanno stimolato un interesse e propiziato vendite finalizzate sì da altri strumenti, ma che senza i primi non sarebbero mai avvenute. Chiedete al vostro consulente di marketing di studiare il modello che si adatta meglio alla vostra customer journey, e usatelo da subito.

Insomma, usare il web per coprire meglio il percorso di decisione delle persone aiuta a

  • convertire a costi (complessivamente) più bassi;
  • dare respiro a canali di promozione ormai saturi;
  • aiutare strumenti più votati alla conversione a farlo a costi più accessibili;
  • diversificare le fonti di traffico al sito;
  • dare valore all’utente e raccogliere i frutti senza dipendere sempre dalla pubblicità;
  • diffondere contenuti che potranno generare traffico spontaneo;
  • dare maggiore forza e riconoscibilità al brand.

Un’ultima cosa: questo modo di fare marketing online implica per forza spendere di più? Ni.

O meglio. Ci sarà probabilmente da produrre del materiale a cui finora non avevate pensato (il video, la recensione, etc etc). Ma non è detto che l’investimento pubblicitario tout court debba essere maggiore. Prima dovreste puntare a razionalizzare e diversificare la spesa che state già sostenendo; poi, con l’aiuto di un bravo consulente, disegnare un piano di investimento graduale che punti, un po’ alla volta, ad aggiungere risorse man mano che raccogliete i frutti di quanto investito.

Investimenti Digital- vale regola generale: investire con una strategia. No (solo) su Ads.

Avete mai ragionato in questi termini? Qual è la vostra esperienza?

 

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