Qualche settimana fa sono stato coinvolto per un’intervista utile a raccogliere delle informazioni circa il fenomeno della social TV e le strategie dietro le campagne di second screen advertising. Più specificatamente si tratta di un’intervista svolta nell’ambito di una tesi sperimentale magistrale in Digital marketing, presso il Dipartimento di Management della Sapienza di Roma, con relatrice Prof.ssa Maria Vernuccio e studentessa Livia Maione.
Dopo aver ricevuto l’autorizzazione dalla Prof.ssa Vernuccio e da Livia Maione, ho pensato di condividerla qui nel blog di MOCA.
Buona lettura. :)
1. Quali sono le motivazioni che spingono le imprese a rivolgersi ad un’agenzia come la vostra per la realizzazione di una campagna di second screen?
Dall’esperienza che abbiamo raccolto noi ad oggi, la dinamica è più quella per la quale è l’agenzia a proporre tale tipologia di campagna ad un’azienda che già investe in televisione; ahimè non succede ancora il contrario, ma pensiamo sia solo una questione di tempo. La leva che utilizziamo che stimolare la curiosità dell’interlocutore è quella dell’efficacia: poiché l’azienda già investe in televisione e, molto probabilmente, anche a livello di digital marketing, cerchiamo – anche con numeri a supporto – di far comprendere il fatto che se i due investimenti e le relative attività sono coordinate, il ritorno è maggiore. In sostanza, qualora fossero già attivi investimenti in televisione ed online, non svolgere campagne di second screen corrisponderebbe a perdere un’opportunità.
Se ADV in TV e Digital lavorano in sinergia, maggiori opportunità. E aumentano anche ritorni.
2. Quali sono i principali obiettivi che i vostri clienti vogliono realizzare con tali campagne?
Gli obiettivi possono essere molteplici e dipendono anche dal tipo di presenza dell’azienda all’interno del contenuto televisivo; da una parte può esserci lo spot televisivo, dall’altro la presenza sponsorizzata sottoforma di product placement. Senza pretendere di descriverli in ordine di priorità, elencherei i seguenti obiettivi perseguibili:
- incremento della brand awareness: tali campagne non sono ancora troppo diffuse ed alcuni telespettatori/utenti potrebbero osservare l’iniziativa dell’azienda posizionandola mentalmente come “sul pezzo”;
- estensione del product placement: quando si sceglie una trasmissione, lo si fa immaginando la relativa audience; poiché questa audience, magari perché stimolata proprio dalla trasmissione, è presumibile che approfondisca la tematica online, per l’azienda “essere anche lì” significa continuare ad essere presente ed associata ai contenuti della trasmissione e quindi a confermare un posizionamento;
- meglio veicolare, verso il digital, il messaggio della televisione: alcune aziende sono al corrente del fenomeno del second screen ed attivare delle campagne in tal senso significa accompagnare il telespettatore/utente da uno schermo all’altro senza rischiare di perderlo lungo il percorso;
- meglio presidiare la customer journey ed evitare di “mettere troppa carne al fuoco”: la televisione, rispetto alla customer journey, è sicuramente un canale in grado di influenzare ma è, allo stesso tempo, distante dal punto di conversione. Immaginare di accompagnare l’utente/telespettatore lungo tutta la customer journey consente alla televisione di esprimersi per quello che è il proprio ruolo (tramite le emozioni e gli “effetti speciali” stimolare l’utente) e di fare lo stesso circa il digital marketing (condurre l’utente verso la conversione);
- aumento dell’esposizione del brand: riuscire a condurre l’utente/telespettatore da un canale all’altro significa, alla fine, ottenere un numero di impression e visualizzazioni del brand (esposizione) maggiore;
- avere una percezione più chiara del ritorno dell’investimento: poiché la sfera del digital marketing è più facilmente misurabile, accostare queste attività alla pubblicità televisiva, consente di descrivere uno scenario, seppur parziale, ma più completo di “come sono andate le cose”.
Accompagniamo l’utente lungo la customer journey: da Impression (TV) a Conversion su Mobile.
3. Gli strumenti utilizzati sono gli #hashtag negli spot, Shazam e le app dedicate. Tra questi, quali sono i più idonei a realizzare determinati obiettivi rispetto ad altri. E se talvolta tali strumenti vengono integrati tra loro?
In primis vorremmo aggiungere all’elenco alcuni elementi che, dal nostro punto di vista, possono rendere il tutto più efficace: sito web e menzione (a voce) dello stesso, payoff facile da ricordare, call-to-action efficace, driver (es. “perché dovrei seguire tale brand su Facebook?”), numero di telefono. Tornando alla domanda:
- gli hashtag sono molto utili per “mantenere la presa” sull’utente/telespettatore è accompagnarlo dalla televisione all’online;
- Shazam cerca di accorciare la customer journey diminuendo lo spazio che intercorre tra lo spot televisivo ed il punto di conversione; lo scoglio, in questo specifico caso, è che lo spot parla solo ad utenti che conoscono e possiedono (le due condizioni devono avvenire assieme) l’applicazione;
- le app mobile, anch’esse, vanno nella direzione di avvicinare ulteriormente il primo stimolo (la televisione) ed il punto di conversione ma può funzionare bene in, secondo noi, due casi: (a) se il brand è già conosciuto e per lui l’applicazione mobile rappresenta l’ennesimo asset (es. Trivago) (b) se si tratta di un gioco.
4. In che modo e quali sono le fasi per far interagire il pubblico con il contenuto di uno Show televisivo, e quali sono gli strumenti e le piattaforme social più utilizzati? E quali sono le condizioni di successo?
Ad oggi abbiamo intercettato un unico caso di successo, naturalmente dal nostro punto di vista, di social tv: Gazebo (qui il link al sito della trasmissione) programma di satira politica in onda su Rai3. Rispetto alle altre situazioni analizzate, le grosse differenze sono:
- gli autori di Gazebo danno l’idea di guardare per davvero lo stream di contenuti nei social (Twitter, Facebook) che hanno a che fare con la trasmissione ed il palinsesto;
- gli autori conoscono per davvero gli strumenti; ad esempio gli utenti Twitter sanno che spesso si gioca con gli hashtag in modo ironico e nel corso della trasmissione, ogni tre per due, viene trasmesso in sovraimpressione un nuovo hashtag che ha esattamente queste caratteristiche;
- i contenuti dai social diventano parte integrante del palinsesto con delle vere e proprie rubriche: gli utenti se ne accorgono ed alcuni, per ottenere maggiore visibilità personale, producono contenuti nella speranza di essere ripresi in televisione;
- il rapporto tra trasmissione ed utenti/telespettatori prosegue nei social anche quando le telecamere sono spente.
Rispetto agli strumenti, alcune trasmissioni hanno cercato di veicolare la conversazione su applicazioni ad hoc ma dopo diversi tentativi è chiaro che la piattaforma per definizione circa la social tv è solo una: Twitter.
5. Come si costruisce una campagna basata sugli #hashtag negli spot? Quali sono le condizioni di successo?
Le condizioni che ci vengono in mente sono le seguenti:
- utilizzare un hashtag ironico, non autoreferenziale, corto (la lunghezza può essere aumentata ma solo se spiegato dall’ironia);
- creare un hashtag attorno ad un’iniziativa, non attorno al brand (es. Domino’s Pizza con l’hashtag #letsdolunch).
6. Shazam permette all’utente di accedere a contenuti extra e di condividerli, ma tale strumento si è rivelato utile in termini di vendita per i brand?
Non abbiamo dati aggiornati in tal senso; pensiamo che la domanda possa essere inoltrata a chi rivende Shazam for TV in Italia: Mobvious (qui il link al sito del gruppo di cui fanno parte, HiMedia), gli unici autorizzati a muoversi in Italia per conto di Shazam. I dati che abbiamo visto noi, riferiti al 2014, descrivono due cose: tutto sommato un buon utilizzo dell’applicazione durante lo spot, un tempo speso sui contenuti extra effettivamente sopra la media.
Restano almeno un paio di ostacoli:
- l’utente deve già avere l’app installata nel device;
- l’utente deve essere veloce nel lanciare l’app una volta che lo spot (che lui in teoria non sta guardando perché le statistiche dicono che durante il break pubblicitario l’attenzione si sposta altrove) lo invita a farlo.
Rispetto a questo secondo punto, nel 2015 abbiamo notato una piccola differenza: la call-to-action in sovraimpressione che invita a lanciare l’app, oggi compare prima e resta “stampata a video” per più tempo.
7. In che modo si misura l’efficacia di queste campagne pubblicitarie integrate tra TV e web online? Ritiene valido il sistema Total AD Ratings lanciato da Nielsen?
Per quello che concerne le campagne che pianifichiamo ed ottimizziamo noi, ad oggi ci siamo limitati alle KPI specifiche del digital, in ordine: impression, accessi al sito, conversioni. Sfruttando il concetto di “time window” ci si può avvicinare ad un dato meno stimato ma non ancora al 100% scientifico. In relazione alle KPI della televisione, invece, facciamo ancora (poco) affidamento a ciò che restituisce l’emittente televisivo. Circa il Total AD Rating di Nielsen (introdotto in Italia a febbraio 2015), lo vediamo come un ottimo tentativo per cercare di regolamentare la questione ed attenersi tutti ad un dato standard; quello che ancora mantiene lo scetticismo è che anche tale indice, per calcolare la parte relativa alla televisione, fa affidamento all’Auditel (che utilizza un campione statistico di 15.600 famiglie, fonte: Wikipedia)
8. Quali sviluppi prevede in futuro per le campagne second screen in Italia? La TV avrà ancora un ruolo così importante nella pubblicità?
Ci aspettiamo un aumento degli investimenti in tal senso e ci aspettiamo che le emittenti televisive stesse inizino ad offrire servizi di second screen alle aziende che investono in televisione. Per quello che concerne il ruolo della televisione (anche nelle accezioni più moderne: on-demand in sostituzione del live dove il palinsesto “me lo faccio io”) crediamo che continuerà ad essere centrale, soprattutto in Italia dove, culturalmente parlando, ha ancora un ottimo posizionamento.
In futuro saranno le stesse emittenti TV ad offrire servizi di #SecondScreen.
9. Nel mese di marzo Twitter ha lanciato Periscope, la nuova app, che permette di condividere in diretta i propri video con coloro che sono connessi in streaming, in che modo questa app può essere sfruttata dai brand e dagli show TV, nell’ambito del second screen?
L’efficacia di questa applicazione, soprattutto lato azienda, è ancora tutta da scoprire. Per quelle che sono le sue caratteristiche attuali, potrebbe rivelarsi davvero utile per condividere (con una cerchia più ristretta di utenti: quelli che possiedono l’app – e quindi enfatizzando il senso di esclusività) ancora più extra: il “making of”, il dietro le quinte durante il live, le pause per il break pubblicitario.
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