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Le abitudini di ricerca degli utenti: queste sconosciute (a volte)

Cosa succede quando il nostro pubblico ci cerca con dei termini che dal nostro punto di vista non sono propriamente corretti o nei quali non ci ritroviamo?

Non parlo di misspelling, i refusi che prima o poi accadono a tutti digitando una parola nei motori di ricerca (risolto ormai in automatico da Google che “capisce” la query corretta), parlo invece di quei termini che vengono utilizzati dalla maggioranza delle persone per cercare un determinato servizio/prodotto. Tuttavia questi ultimi non ci identificano e pertanto non li utilizziamo. I motivi possono essere diversi: etici, etimologici, legali, di comunicazione interna, di comodità.

Questo aspetto va tenuto in considerazione all’interno di una strategia di visibilità nei motori di ricerca, soprattutto per assicurarsi di riuscire ad intercettare la maggior parte delle ricerche del nostro audiance. Spesso si dà per scontato che i nostri clienti (o potenziali tali) ci cerchino con le parole chiave a noi più familiari o con quelle più esatte (dal nostro punto di vista), ma non sempre è così.

Se non ci identifichiamo in quei termini, non li utilizziamo nella nostra comunicazione (online e offline) e/o non vogliamo/non possiamo comparire nei risultati di ricerca legati ad essi, perderemo inevitabilmente delle opportunità di visibilità nei motori di ricerca.

I due casi più lampanti a cui possiamo pensare sono i seguenti:

  1. la maggioranza del nostro pubblico utilizza dei marchi registrati per definire un prodotto/servizio (esempio: “nutella”, “autovelox”, “cyclette”) (1);
  2. la maggioranza dei nostri utenti definisce un prodotto/servizio con una parola che ai più può sembrare corretta, ma che dal nostro punto di vista non lo è (esempi: “adozione a distanza”, “marmellata”, “rilevatori di atutovelox”) (2).

L’importante è capire, innanzitutto, se rientriamo in casistiche similari a queste e cercare di individuare la strada migliore da percorrere.

Come fare?

Uno dei modi più semplici è appoggiarsi ai dati di Google Trends (3) uno strumento che permette di individuare se una parola chiave viene effettivamente ricercata dagli utenti, confrontandola anche con altri termini. I dati di ricerca si possono incrociare anche con l’area geografica e gli intervalli di tempo.

Prendiamo come esempio un’azienda che produce confetture di frutta e che per legge è costretta ad utilizzare il termine marmellata solo nel caso degli agrumi. Volendo verificare se anche la maggioranza degli utenti è a conoscenza e adotta questa discriminante, possiamo utilizzare Google Trends:

Google Trends
Esempio di trend di ricerca per “marmellata” e “confettura”.

Nell’esempio soprastante si nota come “marmellata” sia più utilizzata dagli utenti rispetto a “confettura”. Si può ipotizzare che la maggior parte delle persone che sta ricercando in internet una preparazione a base di frutta e zucchero la identifichi con il termine “marmellata” piuttosto che “confettura”.

Se, come in questo caso, ci accorgiamo di non utilizzare la parola chiave più ricercata nel sito e nella comunicazione online, allora dobbiamo fermarci un attimo e riflettere sulla nostra strategia di visibilità: va cambiata? Siamo in qualche modo costretti a proseguire su questa strada? Ci sono altri canali che possiamo considerare per raggiungere il nostro pubblico?

Visto che nel breve termine cambiare dei trend o delle abitudini di ricerca dell’utente è molto complesso e comunque vedrebbe coinvolti canali online e offline, si possono adottare alcune soluzioni alternative che ci permettono di raggiungere gran parte dei nostri potenziali clienti:

  1. inserire dei contenuti all’interno del proprio sito che spieghino la differenza fra la parola maggiormente utilizzata (e non del tutto corretta) e il termine meno utilizzato (ma più corretto), così da avere qualche chance in più di essere trovati nei motori di ricerca dalla maggioranza degli utenti (la conditio sine qua non per ottenere visibilità, ad oggi rimane ancora la presenza della parola chiave nella pagina);
  2. se la parola chiave non è un marchio e se non è proprio possibile inserire la parola all’interno del sito, si può anche investire in una campagna di advertising nei motori di ricerca per la rete search (acquistando la parola chiave di interesse e non inserendola a livello di annunci e contenuti, anche se punteggi di qualità, CTR e CPC risulteranno svantaggiati);
  3. se ci sono dei limiti legati/etici su più fronti, utilizzare del display advertising nei motori di ricerca con un targeting contestuale che intercetti gli utenti interessati al nostro prodotto/servizio.

Che ne pensate? Vi è successo di incorrere in casi del genere e avete trovato una soluzione ancora diversa da quelle proposte?

Note:
(1) “Nutella” viene utilizzata più di “crema di nocciole”; “autovelox” più di “misuratori di velocità su strada dei veicoli”; “cyclette” più di “bicicletta da camera”. Si tratta di marchi che sono entrati nell’uso comune della lingua come sostantivi veri e propri.
(2) “Adozione a distanza” viene utilizzato più di “sostegno a distanza”, “marmellata” più di “confettura”, “rilevatori di atutovelox” più di “localizzatori di autovelox”. I termini più utilizzati hanno delle problematiche di natura legale (in particolare “marmellata” a “rilevatori di autovelox”) o di etica/definizione (“adozione a dostanza”).
(3) Google Trends è uno strumento fornito dal motore di ricerca Google; da settembre 2012 ha incorporato le funzionalità di Google Insight for Search. Se il test deve essere fatto in paesi non “google-centrici”, si consiglia di utilizzare gli strumenti forniti dal motore di ricerca maggiormente utilizzato (ad esempio Yandex per la Russia e Baidu per la Cina).

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