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Brand Awareness: non fermatevi alla prima impressione

attrarre clienti

L’argomento più controverso da quando faccio questo lavoro, è anche il più antico: le campagne di brand awareness.
I media tradizionali (tv, radio) attraverso cui da decenni vengono veicolate campagne volte ad incrementare la conoscenza del brand, sono in grado (ancora oggi!) di offrire come indicatore di performance solo una stima delle persone che hanno visto lo spot (basata su un campione di italiani e di emittenti, maggiori info qui).

Questo assomiglia al concetto di “impression” che ritroviamo nelle campagne pubblicitarie on line: le impression indicano il numero di volte che un annuncio è stato stampato a video, non tengono conto del fatto che l’attenzione dell’utente si sia soffermata sul nostro annuncio. Non ci danno alcuna indicazione del fatto che il marchio sia rimasto impresso nella mente del potenziale cliente né ci permettono di capire quali valori sono stati associati allo stesso.

Purtroppo molto spesso le impression sono anche l’unico dato che è possibile di rendicontare in campagne di questo tipo, in genere per mancanza di una strategia più lungimirante.
E allora lo scrivo qui una volta per tutte: se disponete di un gruzzoletto da investire in campagne on line e sentite l’esigenza di utilizzarlo per migliorare la conoscenza del vostro brand, non limitatevi a sparare il vostro messaggio sui passanti. È possibile fare di più.
La brand awareness dovrebbe essere l’anima e la strategia che accompagna un percorso guidato volto a raggiungere nuovi potenziali clienti e fidelizzarli.
Immaginate il percorso da utente a cliente, dividetelo in tappe e trovate il modo di avere qualcosa da dire in ciascuna tappa.

Avete mai visto le statistiche del traffico di un sito di un’azienda che per un periodo decide di investire in campagne pubblicitarie di brand awareness? In moltissimi casi assomiglia ad una montagna: sale e rimane elevato finché le campagne sono attive, poi crolla nuovamente ai valori precedenti appena l’investimento si ferma. Fine. Nessuna timida risalita nei mesi seguenti. Nessun segnale che il brand sia effettivamente rimasto in testa a qualcuno.
In questo caso possiamo davvero dire di aver fatto “brand awareness”?

Non voglio puntare il dito contro nessuno, io stessa ho gestito svariate campagne di brand awareness fini a loro stesse, senza grandi prospettive. Purtroppo in molti casi la lungimiranza deve partire dal committente e questa è una delle ragioni per cui scrivo questo post.
Molte volte la genesi di una campagna di brand awareness è la seguente:

  1. l’ufficio marketing ottiene un budget da investire in pubblicità;
  2. decide di destinarne una parte per accrescere la popolarità del brand;
  3. decide cosa comunicare e in quali canali;
  4. contatta un’agenzia che al più presto faccia partire delle campagne come da brief.

Quello che manca è un punto in cui qualcuno si ponga la domanda “e poi?”.

Quel “e poi” potrebbe essere un lungo percorso, che inizia con un pubblico molto ampio che si va via via restringendo man mano che dagli “utenti” scremiamo e selezioniamo i “potenziali clienti”. Iniziamo quindi parlando ad un audience di grandi dimensioni ma con l’obiettivo di arrivare ad una comunicazione diretta, uno a uno. Ogni interazione con il nostro audience dovrebbe avere uno scopo che vada al di là del semplice “mostrare il logo”, dovrebbe raccontare una storia, far percepire i valori dell’azienda, insomma dovremmo lasciare un segno (anzi, tanti piccoli segni!) che permettano a chi li riceve di percepire chi siamo, cosa facciamo, come lo facciamo e perché lo facciamo proprio in quel modo.
Se siamo stati bravi il nostro grafico assomiglierà sempre ad una montagna nella fase iniziale, a cui però farà seguito una costante e graduale crescita nei mesi successivi.

Per andare sul concreto, immaginiamo il caso di un e-commerce b2c: al grosso investimento iniziale in brand awareness potrebbe fare seguito del retargeting sugli utenti che hanno dimostrato maggiore interesse (ad esempio quelli che dopo essere atterrati nella nostra landing page hanno proseguito la navigazione sul sito e visualizzato schede prodotto). Questi utenti potrebbero essere interessati a diventare fan/follower dei nostri profili social, o magari (se possiamo offrire qualcosa in cambio) anche ad iscriversi alla nostra newsletter.
Il passaggio successivo potrebbe mirare alla vendita (via e-mail o social) e quello ancora dopo potrebbe consistere nella richiesta di una recensione nel caso in cui l’utente abbia acquistato, o in una richiesta di migliore profilazione (se è già iscritto alla newsletter) nel caso in cui il nostro tentativo di vendita non abbia avuto successo.
Se tutti questi passaggi vengono pianificati all’inizio possono essere il fulcro della strategia. Ecco che allora davvero avremo fatto brand awareness e non solo brand impression.

Voi che ne pensate?

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