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Analisi di una campagna email di lancio. Fatta con gli occhi e con il cuore.

La scorsa settimana abbiamo pubblicato il nostro nuovo sito web (quello dove sei adesso, per intenderci).
Il canale principale utilizzato per comunicarne la pubblicazione è stato la newsletter.
L’obiettivo dell’iniziativa, nella fattispecie della campagna di email marketing, è stato la veicolazione di traffico dalla newsletter al nuovo sito web.
La KPI, insomma, era il click rate – questo è un passaggio importante.

Il dubbio

Quando teniamo lezioni di email marketing suggeriamo sempre di costruire campagne attorno all’obiettivo, di disegnare la newsletter tenendo a mente che è meglio veicolare l’attenzione di chi legge verso uno specifico – e unico – punto.

E condire la mail con tanti contenuti e tante call-to-action non va certo in questa direzione.
E lo specifico perché noi, invece, abbiamo proprio il profilo di una newsletter che fa venire il crampo ai pollici e che, spesso, un link per mandarti altrove non ce l’ha.

disegnare la newsletter tenendo a mente che è meglio veicolare l’attenzione di chi legge verso uno specifico punto

Siamo contrari alle stesse linee guida che “professiamo” ma ci piace l’impronta che abbiamo assunto; un copywriter verso cui nutriamo tanta stima ci ha detto una cosa del tipo “io certe cose non le farei ma avete comunque un tono riconoscibile e questo è un gran risultato”.

La soluzione

Creiamo due email.
La prima ha l’obiettivo di veicolare l’attenzione verso il pulsante che conduce al sito web.
La seconda, per coerenza, richiama la newsletter che inviamo quando crediamo di avere qualcosa di interessante da dire (quella lunga, lunghissima per capirci).

Ma la prima la dobbiamo pensare bene, dobbiamo puntare ad un alto click rate passando per forza di cose per un alto open rate.

E cos’è che può attirare l’attenzione? Cosa può favorire l’apertura?
Un errore, una stranezza, una “cosa” che rompe il ritmo, un elemento che genera curiosità.

L’oggetto era questo (la mail è stata inviata il 20/5/19): “🚫 Non inviare prima del 21/5/19!!! 😡”
Il pre-header suonava così: “Attendere che il nuovo sito sia online”

Il corpo poi aveva l’apparenza di una bozza:

  • titolo da definire
  • merge tag non compilato (abbiamo aggiunto degli spazi per non farlo funzionare appositamente)
  • un po’ di lorem ipsum
  • nessun altro contenuto

ma era pensato per veicolare l’attenzione sul pulsante:

  • bottone che compare nella no-scroll area
  • che cromaticamente stacca dal resto
  • che da mobile occupa il doppio dello spazio del titolo
  • e che ha il link sottolineato (convenzione) per far intuire che quello è, effettivamente, un elemento cliccabile

La seconda, invece, la mandiamo a chi ha cliccato sulla prima a mo’ di “premio” perché, visto che ci hanno dato credito sulla prima, gli raccontiamo il dietro le quinte con la seconda.

L’errore

Abbiamo trovato conferma di questo: se ti immagini un flusso che contempli l’azione di una persona che non sei tu, devi anche immaginarti il piano B: cosa faccio se poi quella persona non fa quello che ho in mente?

L’errore è stato nel trigger: ricevi la seconda mail subito dopo aver cliccato su quello specifico link contenuto nella prima.
È stato un errore perché chi non cliccava nella prima mail non avrebbe ricevuto la seconda che un po’ spiegava il tutto.

Poi, col senno di poi, a lasciare la dinamica un po’ sospesa qualcosa ci abbiamo guadagnato: le persone – tante – ci hanno scritto per farci notare che qualcosa ci era scappato; e chi si occupa di email marketing sa bene che rispondere a una newsletter aumenta la deliverability – ovvero la capacità di arrivare davvero nella inbox – del mittente con le newsletter successive.

Però, alla fine della fiera, ci siamo immaginati una sequenza che non è stata compresa da tutti; quindi abbiamo fatto un errore di progettazione.

Avremmo dovuto utilizzare un trigger del tipo: ricevi la seconda dopo che hai aperto la prima.
E così abbiamo fatto per il resend.

L’altro errore

La prima mail, nella sua fattezza di bozza, ha alzato dei dubbi.
Qualcuno l’ha cancellata perché aveva timore si trattasse di SPAM o che la mail contenesse un virus.

Il richiamo all’errore, forse, poteva essere circoscritto all’oggetto e al pre-header.
Il corpo della mail poteva anche essere solo un pulsante con sopra la scritta “Non cliccare qui”.

Il resend

L’obiettivo era comunicare il nuovo sito web.
Le 3.000 e passa persone iscritte alla newsletter non sono un limone da spremere ma rappresentano comunque un asset di comunicazione e volevamo essere certi di utilizzarlo al meglio.

Così 24 ore dopo (noi ai clienti diciamo 5-7 giorni dopo ma questa volta abbiamo seguito un suggerimento di Mailchimp – qui un loro articolo che approfondisce) abbiamo inviato una seconda newsletter. Identica.

A chi?
A chi non aveva aperto la precedente.
E.
E a chi, secondo l’algoritmo di Mailchimp, aveva un livello di coinvolgimento talmente alto che avrebbe aperto con un’ottima probabilità la nostra newsletter.
Vincolandoci al fatto che queste due condizioni dovessero essere verificate entrambe (operatore logico AND), abbiamo

  • provato a riprendere l’attenzione di chi di solito ci segue ma che per motivi a noi sconosciuti non l’ha fatto il 20/5
  • evitato di tediare quella fetta di pubblico che, così come ha fatto per la prima, avrebbe fatto con la seconda: non dedicargli tempo

Il follow up

Per l’errore commesso in fase strategica e per via del fatto che l’obiettivo nel frattempo non è cambiato, l’indomani abbiamo inviato la seconda newsletter (quella kilometrica) a chi aveva aperto la prima ma, non dandoci credito, non ci aveva cliccato sopra (inibendo la possibilità di ricevere la seconda).

Qui ci si avvicina effettivamente al limite della forzatura perché il tutto sta avvenendo in un arco temporale stretto ma siamo anche tranquilli che non facciamo promesse che non manteniamo e che chiediamo, sì e no, meno di 10 minuti del tempo di chi è iscritto alla newsletter. Insomma, c’è di peggio.

Numeri

La prima newsletter era quella oggetto di principale osservazione:

  • destinatari: 3.062
  • open rate: 54.8%
  • click rate: 22.5%
  • disiscritti: 21 (*)

(*) Una persona, contestualmente all’iscrizione, ha lasciato questo messaggio: “Non mi fido di un’azienda di comunicazione che manda un’email il 20/05 in cui c’è scritto di non inviarla prima del 21/05. E soprattutto l’email è una bozza”. Forse avrei dovuto anticiparlo io nella pagina di iscrizione alla newsletter: non lavoriamo con gente frettolosa. :)

La distribuzione del contact rating di queste 21 persone:

  • 1/5: 0
  • 2/5: 1
  • 3/5: 18
  • 4/5: 2
  • 5/5: 0

Considerando che le 3 stelle indicano un grado di coinvolgimento positivo, ho tirato troppo la corda con l’iniziativa e perso delle persone che, diversamente, forse non avrei perso.

La seconda – quella lunga – aveva il nostro classico obiettivo: puntare a essere letta. I suoi numeri:

  • destinatari: 647
  • open rate: 89.8%
  • click rate: 28.0%
  • disiscritti: 2

Se considero però resend e follow up (il follow up solo nel caso della seconda mail), i numeri si aggiornano come segue:

Mail #1 (quella sbagliata, per capirci)

  • destinatari: 3.062
  • open rate: 61%
  • click rate: 25%
  • visite al sito (il vero obiettivo iniziale – e qui faccio la somma tra mail #1 e mail #2): 851. Record!

Mail #2 (quella lunga che raccontava anche il dietro le quinte dell’iniziativa)

  • destinatari: 867
  • open rate: 86%
  • click rate: 24%

Sentiment. Quello mio

Qui raccolgo le considerazioni di natura più qualitativa dai messaggi ricevuti.
Di base è successo un gran bel casino: molte repliche alla prima newsletter, diversi messaggi ricevuti dal sottoscritto tramite quasi tutti i social.

Rappresento (e arrotondo) le reazioni così:

  • chi ha manifestato perplessità: 2%
  • chi ha segnalato la svista sottolineando l’errore e che, una volta capito il “disegno”, non ha più replicato: 8%
  • chi, capita tutta la dinamica, ha espresso parere positivo: 20%
  • chi ha esagerato (v. screenshot sotto): 70%

Sarà perché io sono io ma i pochi feedback non positivi non sono stati in grado di “sovrascrivere” tutti gli altri attestati di stima.

A corredo

Abbiamo ricevuto l’ennesimo regalo da parte di Stefano che ci ha dedicato belle parole.

Abbiamo ricevuto elogi per il copy.

Stiamo gestendo una richiesta di preventivo pervenuta da un iscritto alla newsletter.

So what?

Ho imparato che se esci dal tracciato delle cose fatte alla solita maniera, un po’ rischi.
E forse non lo suggerirei mai a un mio cliente (ma non perché non sia giusto provarci).

Ho imparato che però non scambierei delle pacifiche relazioni di stima taciturna con una comunicazione piatta (perché tanto, alla fine, si disiscrivono uguale).

Ho imparato che però non scambierei delle pacifiche relazioni di stima taciturna con una comunicazione piatta

Ho imparato che ad essere sinceri, alla fine la gente ti vuole bene (molta più gente di quello che pensi).
Anche se sei un’azienda che, siccome deve anche fatturare, è brutta e cattiva per definizione.
Non smetto di entusiasmarmi nel pensare al fatto che qualcuno si è preso del tempo per farci i complimenti.

Continuo a non imparare a gestire quelli con il clic facile/veloce.
Continuo a credere fortemente che “disiscritto è bello”.

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