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Competitor in Google Ads: nemici o amici?

“Affrontare i nemici richiede notevole ardimento. Ma altrettanto ne occorre per affrontare gli amici” disse il saggio preside di Hogwarts.
E quando scopri che tra i tuoi “nemici” nelle aste in Google Ads ci sono i tuoi principali partner commerciali, la prima volta un po’ ci rimani male.

Che tu produca o rivenda prodotti altrui, ti capiterà di partecipare alla stessa asta con inserzionisti che nella “vita vera” sono tuoi partner di business. Nello scenario dei risultati a pagamento però diventano competitor, contribuendo ad aumentare il costo per clic delle tue campagne.

In Google Ads infatti il posizionamento dell’annuncio nella pagina dei risultati di ricerca viene determinato sulla base di un’asta. Quanti più inserzionisti partecipano a questa asta, tanto più caro sarà il costo per clic che dovrai pagare per avere un buon posizionamento.

Google Ads ti permette anche di vedere chi sono questi inserzionisti, quanto spesso i vostri annunci appaiono nella stessa schermata e quanto spesso ciascuno dei loro annunci appare più in alto rispetto al tuo.

Google Ads ti permette di vedere chi sono gli altri inserzionisti, che a volte sono partner commerciali

Capita spesso di trovare in questa lista di “competitor” i propri rivenditori o fornitori.
Come puoi allora ricreare anche online quelle sinergie che sono già ben avviate offline?

Ti racconto qualche esempio di accordi di co-marketing che ho visto nascere nel corso degli anni, stimolati proprio da questa “lista di nemici”.

Qualche anno fa un nostro cliente, produttore di rubinetteria, aveva alcuni e-commerce che competevano per le sue stesse aste. Con un paio di questi, i rapporti commerciali erano davvero molto profittevoli. Il nostro cliente all’epoca non aveva un suo e-commerce.
Il sito del produttore costituiva un ottimo punto di approfondimento che permetteva al cliente finale di conoscere tutte le caratteristiche del prodotto, scaricare schede tecniche o cataloghi. D’altro canto nel momento in cui fosse stato pronto per l’acquisto e decidesse di farlo online, erano gli ecommerce la risposta migliore.

In quel periodo il nostro cliente si stava preparando a lanciare due nuovi prodotti in due ambiti diversi, decise quindi di fare una proposta a questi due partner: noi avremmo attivato delle campagne di awareness per intercettare potenziali clienti in fase esplorativa, che avremmo fatto atterrare nelle due pagine prodotto che – con contenuti emozionali e dettagli tecnici – potevano invogliare all’acquisto.
Nei giorni seguenti i visitatori delle due pagine sarebbero stati raggiunti da annunci display di remarketing che invitavano ad acquistare sui rispettivi siti partner.

In definitiva il nostro cliente ha pagato per portare visitatori qualificati nel sito e-commerce dei suoi partner. I volumi di traffico non erano particolarmente elevati, ma circa una persona su quattro era pronta a procedere con l’acquisto. Non male, no?
Ovviamente i due e-commerce si sono impegnati a pre-acquistare una discreta scorta dei prodotti in questione e ad attivare sul loro sito una pagina di atterraggio coerente con la linea di comunicazione tenuta dal brand.

Ti riporto un altro esempio in cui invece ci siamo trovati a lavorare nella situazione opposta: in questo caso il nostro cliente era un e-commerce di prodotti di elettronica.
Come ben sa chi opera in questo settore, la marginalità è davvero bassa e non consente di investire molto in campagne di awareness. Il budget quindi era spesso investito su campagne shopping e in rete di ricerca, intercettando parole chiave molto vicine al momento dell’acquisto.

In alcuni casi però ci sono stati degli accordi con le aziende produttrici che hanno consentito – in cambio dell’acquisto di una buona quantità di prodotti – di ottenere un budget di co-marketing da utilizzare per campagne pubblicitarie che intercettavano persone in fase informativa, un po’ prima quindi nel percorso di acquisto.
Questo permetteva di portare nuovi visitatori sul sito e favorire la conoscenza del brand, anche grazie al traino della popolarità dei partner più celebri. Inoltre venivano in questo modo alimentate le liste di remarketing e di iscritti alla newsletter, che potevano generare vendite poi anche a distanza di settimane.

In altri casi ancora, ci si è limitati a un accordo volto a limitare la sovrapposizione nella rete di ricerca: il produttore investe per essere presente per le ricerche di natura più informativa, mentre il rivenditore per quelle più vicine al momento dell’acquisto. In questo modo, da un lato ci si assicura una copertura sulle ricerche inerenti tutto il percorso di decisione di acquisto, dall’altro si evita di incrementare i costi per clic non partecipando alle stesse aste.

A te è mai capitato di raggiungere accordi di questo tipo con i tuoi partner commerciali, per evitare di limitarsi a “giocare a rialzo” con i costi per clic?
Ti va di raccontarci come è andata?

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