Tanto traffico ma poi… boh? Chi ha gestito campagne display l’ha pensato almeno una volta.
Sappiamo che questo genere di promozione, soprattutto attraverso Google Display Network, garantisce CPC bassi (anche bassissimi), ed è in grado di trasformare in clic torrenti di denaro. Ma possiamo davvero chiudere gli occhi, tapparci le orecchie, e fare finta che la performance sia su un altro pianeta rispetto a queste campagne? Certo che no.
Segmenta il pubblico (e le campagne)
Una regola fondamentale per porre delle solide basi.
Se possibile, nonostante l’articolazione che ciò introduce, ti suggerisco di creare più campagne, ciascuna focalizzata su uno specifico pubblico.
Ponendo più audiance (ovvero: più gruppi di annunci) all’interno della stessa campagna, si rischia che essi non “girino” tutti alla stessa maniera, e che al momento di metterli a confronto non si abbiano dati comparabili. Meglio quindi dedicare una campagna ad un’audiance per argomenti, un’altra a persone “In-Market”, un’altra ancora ad un pubblico lookalike, e così via.
Dopo un certo periodo, è utile prendere in esame i dati raccolti a livello demografico. Verifica, ad esempio, quali fasce di età e segmenti di genere siano stati più efficaci. A livello di CTR ma non solo: Google Analytics ci viene in aiuto con dati su bounce rate, pagine viste e tempo sul sito segmentati per genere ed età. Dopo aver individuato i potenziali clienti demografici migliori, puoi creare dei duplicati delle campagne e associarli a esse, dando loro la gran parte del budget (o magari tutto).
Oggi, Google Ads fornisce soluzioni di targeting davvero sofisticate, che si focalizzano sulla persona piuttosto che sul contenuto che essa fruisce. Si possono intercettare gli utenti in relazione ai loro interessi, ricavati in base a ciò che essi navigano e cercano. Una possibilità che si rivela particolarmente efficace è quella del pubblico per affinità personalizzata. Attraverso di esso, è possibile circoscrivere gli interessi degli utenti sulla base di liste di parole chiave (ad esempio, nomi di competitor) o liste di URL (ad esempio, siti web di competitor).
Parla con l’utente quando è il momento
Nonostante la raffinatezza di queste soluzioni, devi tenere a mente che, per quanto un utente sia ben profilato, conta anche il momento e il “luogo” in cui esso si trova e visualizza un annuncio. Incappare in un annuncio all’interno di un gioco o di un sito di notizie non è la stessa cosa. Volendo vendere scarpe da trekking, potresti voler utilizzare l’audiance In-Market “Articoli per attività ricreative all’aperto”, ma potresti allo stesso tempo incrociare tale segmento con uno o più obiettivi per argomento (come ad esempio “Attività all’aria aperta”), specifici siti web (posizionamenti), o con una lista di parole chiave ad hoc. In questo modo aumenti le chance che l’utente, possibilmente interessato a ciò che offri, veda i tuoi prodotti mentre fruisce contenuti affini. In questo caso, esso può essere più propenso ad approfondire.
Dispositivi mobile, con moderazione
Altro capitolo: la pubblicazione di annunci display su mobile, in particolare all’interno di app. A volte si verifica che, provando ad ottimizzare le campagne sulla base del CPC, con l’obiettivo di ridurlo sempre più, vengano privilegiati posizionamenti su mobile a CPC molto basso e CTR sorprendentemente elevato. Figata? Non esattamente: osservando le performance su sito (bounce rate, profondità della visita), ci si rende conto che il traffico raccolto in questo modo è spesso di qualità assai modesta. Cercando di abbassare il CPC, può essere che il sistema privilegi posizionamenti in cui il click è “molto probabile” (hai pensato accidentale? Accidenti, sei sveglio! :)).
Come difenderci da ciò? Una soluzione drastica può essere la rimozione di tutte le app per dispositivi mobili e tablet dai possibili placement di una campagna. Lo puoi fare ponendo come posizionamento escluso il dominio “adsenseformobileapps.com”.
Associa la (micro) conversione giusta
Ma è più conveniente ragionare in termini di pura performance. Sappiamo bene come sia difficile che campagne display riescano a collezionare un numero sufficiente di conversioni (vendite, lead) affinché pubblico e posizionamenti possano essere ottimizzati, anche automaticamente, sulla base di esse.
Configura, via Google Analytics, le conversioni “soft” per la GDNPer valutare campagne GDN, vengono in aiuto conversioni “soft” da impostare in Google Analytics, basate ad esempio su:
- obiettivi intelligenti
- visite senza rimbalzo (cioè visite con almeno 2 pagine di profondità)
- un certo tempo trascorso sul sito
- visualizzazione di un contenuto chiave (un video, la pagina contatti ecc)
Una volta che avrai ottenuto un numero sufficiente di conversioni per campagne display, potrai valutare pubblico e segmenti sulla base del costo per conversione generato. Meglio ancora, potrai impostare il bidding delle campagne a CPA, in modo che l’automatismo ti aiuti a ottenere la migliore performance. Attenzione, però! Non è detto che in questo modo la frequenza di rimbalzo o altri parametri legati alla qualità del traffico migliorino sensibilmente. Questi, semplicemente, non saranno più le KPI di riferimento: la tua attenzione andrà focalizzata sulla capacità delle campagne di portare, a partire dal budget a disposizione, quante più conversioni possibile. Per capire meglio, dai un’occhiata allo schemino qui sotto:
Obiettivo 1: visita senza rimbalzo
- budget: 30€
- CPC: 0,30€
- frequenza di rimbalzo: 90%
Risultato 1:
- 100 clic
- numero di conversioni: 10
- costo per conversione: 3€
Obiettivo 2: visita senza rimbalzo
- budget: 30€
- CPC 0,15€
- frequenza di rimbalzo: 90%
Risultato 2:
- 200 clic
- numero di conversioni: 20
- costo per conversione: 1,5€
La frequenza con cui si verifica una visita senza rimbalzo rimane la stessa, ma è stato ottimizzato il costo per conversione attraverso una riduzione del costo per clic. Risultato: si portano più utenti interessati ai contenuti del sito, a parità di investimento.
Il tuo modello di attribuzione è il tuo migliore amico
Di fronte a ragionamenti come questi, potresti ribattere: ma a me interessa vendere! Ti capisco. Posto che, comunque, portare traffico di qualità in modo efficiente è il primo passo verso la vendita, non possiamo mettere da parte gli obiettivi di business, come vendite e lead generati. In relazione alla pubblicità display, però, l’ottica di misurazione va cambiata. Nel caso in cui il mix di canali comporti investimenti considerevoli in campagne di acquisizione utenti (tra cui display), è necessario che il modello di attribuzione con cui si misurano i risultati rispecchi questo approccio. Esso, in altre parole, dovrà valorizzare adeguatamente le sorgenti di traffico che veicolano persone ai primi step del loro customer journey: ne sono un esempio il modello “Prima interazione” (in modo tranchant), e “Sulla base della posizione”. Personalizzando quest’ultimo, puoi spostare secondo necessità il “peso” della conversione verso il primo clic, l’ultimo, o i clic intermedi.
Gli strumenti che ho elencato sinora possono aiutarti a trarre qualcosa di concreto dalla pubblicità display, focalizzando l’investimento su KPI consistenti (con il simbolo € davanti), che restituiscano davvero del valore aggiunto.
Buona ottimizzazione!
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